MARTIN HEIDEGGER

"Nel poetare del poeta come nel pensare del pensatore vengono ad aprirsi così grandi spazi che ogni singola cosa: una albero, una montagna, una casa, un grido d'uccello, vi prende completamente il proprio carattere insignificante e abituale. "



IL PROBLEMA DELL’ESSERCI
Martin Heidegger (1889 a Messkirch, Germania - 1979 Friburgo), il principale esponente dell'esistenzialismo, nel capolavoro incompiuto Essere e tempo (1927) inizia la sua indagine sull'essere proprio a partire dall'analisi dell'esistenza dell'uomo, che egli denomina Dasein, ovvero esserci. L'uomo, per lui, non è mai una Cosa tra le altre cose, ma è progetto. Egli viene sì a trovarsi «gettato» nel mondo, ma il suo «essere-nel-mondo» si caratterizza per il fatto che non si accontenta del presente e si proietta verso situazioni sempre nuove: l'uomo è un progetto gettato in avanti, cioè è trascendenza. Le modalità fondamentali dell'esserci in rapporto mondo sono la comprensione (cioè il rapportarsi del soggetto a una totalità pre-compresa di significati, alla luce della quale interpreta il senso delle cose singole) e la cura (cioè la modalità di interazione con gli enti). In quest’ultimo concetto è racchiuso il senso dell'intenzionalità e temporalità costitutive dell'esserci: la cura, infatti, indica l'inevitabile rapportarsi dell'esserci alle cose e al mondo (la sua gettatezza e apertura) e il suo essere "di là da venire", il suo coincidere con un progetto in cui le cose assumono significato. In essa confluiscono tutte le determinazioni dell'essere dell'esserci, sia quelle autentiche sia quelle inautentiche. L'uomo, infatti, può condurre un'esistenza inautentica, prendendosi cura solo delle Cose e facendosi cosa egli stesso, nella chiacchiera e nella banalità quotidiana: tale è la condizione di alienazione e deiezione che caratterizza l'epoca della tecnica, in cui gli enti si presentano all'esserci come “utilizzabili" che egli inserisce nel proprio progetto di dominio e manipolazione del mondo; oppure può accedere a una dimensione autentica dell'esistere, ascoltando il sentimento di angoscia che pone di fronte alla propria temporalità e finitezza e, dunque, di fronte alla propria morte. Anticipando la morte l'uomo assume su di sé la responsabilità delle proprie scelte e "possibilizza" le proprie possibilità, cioè le coglie come finite e contingenti, come "possibilità pure". 

LA QUESTIONE ONTOLOGICA 
Si tratta di un interrogativo che domina la seconda fase della riflessione heideggeriana, in cui il filosofo concentra il proprio interesse sulla ricerca del senso dell'essere(ricerca ontologica) che, dopo lo scacco dell'analitica esistenziale, ritiene di dover trovare non più a partire dall'ente e dall'uomo. Il nuovo problema è appunto quello di superare l'orizzonte categoriale e linguistico della metafisica occidentale, che ha determinato il progressivo e inesorabile oblio dell'essere: a partire da Platone, infatti, la filosofia ha estromesso progressivamente l'essere dal suo orizzonte, saturato dalla volontà di potenza e di dominio dell'uomo tecnologico. 

Occorre ora pensare l'essere in un modo nuovo, non metafisico, che cioè non lo riduca all'ente ma ne salvaguardi la trascendenza e l'inesauribile alterità. A questo proposito Heidegger si avvicina alle tematiche dell'arte e del linguaggio (che occupano gli scritti dell'ultimo periodo) ed elabora quello che può essere definito un "pensare-poetare" in grado di rimanere nelle vicinanze dell'essere additando e custodendo la sua «differenza ontologica». La ricerca della verità, che per la fenomenologia si era caratterizzata come ritorno alle cose stesse, diviene con Heidegger un «cammino verso il linguaggio».

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